Viaggiare in Colombia: La Colombia non è più quella di una volta…
Esattamente 10 anni fa arrivavo per la prima volta in Colombia. Abitavo in Nuova Zelanda e in quel periodo facevo la spogliarellista, guadagnavo una palata di soldi e li spendevo tutti in viaggi. Durante quell’estate australe m’invaghii di un ragazzo inglese che stava facendo il giro del mondo e decisi di seguire il suo viaggio per quanto mi fosse possibile. Siamo stati a Fiji insieme a fare l’amore nella laguna blu poi decisi di seguirlo anche in Sud America. Arrivai a Buenos Aires 2 giorni prima di lui e in quei 2 giorni mi resi conto che quell’amore era un calesse e che gli argentini sono bellissimi. In 48 ore decisi di lasciarlo.
Meglio così, mi fermai in Sud America due mesi e da Buenos Aires arrivai fino alle spiagge del parco Tyrona, sulla costa caraibica colombiana, libera come una farfalla, passando per il Cile, la Bolivia, il Perù, l’Equador e ovviamente la Colombia. Ero un’altra Darinka. Durante il viaggio feci in tempo ad innamorarmi altre due volte, a farmi offrire un lavoro in un bar illegale di La Paz dove la proprietaria mi offrí un lauto stipendio in cocaina per allietare le serate dei suoi clienti e a ritrovare la città perduta.
Passai anche per Bogotà e nei due pomeriggi che ci spesi vidi una signora tornare all’ostello sanguinante dopo essere stata derubata e accoltellata e e altri 3 ragazzi tornare in lacrime dopo aver subito lo stesso incidente, senza la pugnalata finale. Medellin era completamente al di fuori di ogni itinerario turistico. Spacciatori vendevano droga ai turisti d’accordo con i poliziotti che poi li beccavano facendosi dare una lauta mazzetta per chiudere un’occhio e il pericolo dei rapimenti e attentati delle FARC era ancora reale, per quanto ormai stessero scemando.
Insomma la Colombia era il paese meraviglioso che è ancora oggi ma praticamente impenetrabile se non dai più incoscienti e con poco orgoglio ammetto che ai tempi ne facevo parte.
Ora sono due settimane che viaggio in lungo e in largo per questo paese e posso confermare che le cose sono cambiate. Non è che possa consigliare di andare in giro col portafoglio al vento, senza prendere precauzioni ma certamente è un paese che raccomando di visitare a tutti, senza esclusioni, essendo davvero meraviglioso e relativamente tranquillo.
La questione “FARC” è quasi risolta, la violenza dei cartelli colombiani sembra essersi spostata in Messico e la sicurezza generale, evitando accuratamente zone palesemente pericolose dopo il tramonto, è mediamente buona.
Sono Partita da Cartagena, al Nord, nella zona caraibica della Colombia innamorandomi di questa cittadina di stampo coloniale ben preservata. I suoi balconi di legno colorato incorniciati dai buganvillee, i ristoranti di ceviche fresco ad ogni angolo, i graffiti di Getsemani, la sua piazzetta sempre gremita e gli spettacoli di danze tipiche credo lascerebbero chiunque senza parole, per poi trasformarlo in un cantastorie.
Da Cartagena sono arrivata a Medellin dopo 14 ore di autobus, svegliandomi ripetutamente grazie alle frenate inaudite dell’autista che, cercando di rompere la barriera del suono, si era dimenticato di dover fare i conti con il traffico. La polizia, e questo non è cambiato, sale spesso per fare controlli e mi ha colta con una bustina bianca in mano, si trattava di sale per condire manghi acerbi e infatti non ha fatto una piega.
A Medellin abbiamo partecipato a un “Real city tour”, un tour a “offerta libera” messo insieme da alcuni ragazzi del posto che in un perfetto inglese, passeggiando per il centro, tra le statue di Botero e i venditori di empanadas ci hanno raccontato la storia della città.
Stranamente la parte più pericolosa della città è proprio il centro e la nostra simpaticissima guida, Maribell, indicandoci in codice quanto stare attenti da uno a 10, contando fantomatiche papaye ci ha mostrato le piazze e i parchi che avevo letto di evitare rigorosamente. Passiamo per piazza de las luces, dove tantissimi monumenti a forma di spade jedi si erigono verso il cielo, per la piazza Bolivar, intravediamo zombi farsi di craic in una casetta abbandonata davanti a uno spettacolo di rap per i ragazzi del quartiere. La lotta per migliorarsi è continua e non facile. Maribell racconta la sua città da quando coloni baschi ed ebrei per sfuggire all’inquisizione spagnola si rifugiarono in questa zona difficilmente accessibile mischiandosi con la popolazione indigena dando origine all’orgogliosissimo popolo “Paisa” alla storia più recente della violenza e del sangue portati da Escobar, dai paramilitari e i guerriglieri di sinistra.
Maribell ci ha perso amici d’infanzia e conoscenti, sono stati periodi bui per la Colombia e ci sono andati di mezzo tutti.
Inizia a piovere, una di quelle solite piogge torrenziali che annaffiano il nostro cammino almeno una volta al giorno da quando abbiamo messo piede in questa terra tanto affascinante quanto violentata. Raggiungiamo un’altra piazza “dalle 10 papaye.” Era stata costruita per farci eventi, festival e concerti ma è vuota dal 1995. Sono rimaste solo due statue di Botero, una sventrata e una no.
Nel 1995 durante un concerto un ordigno era stato nascosto sotto a una di esse e la sua esplosione ha provocato decine di morti innocenti. Il boss del cartello di Cali era appena stato arrestato, forse sono stati i suoi scagnozzi, ma la cosa assurda è che a rivendicare quell’esplosione sono stati in tanti, come se fosse qualcosa di cui andare fieri.
E la piazza non si è più riempita da allora, il sindaco voleva svuotarla anche della statua di bronzo piegata dalla follia e dal tritolo eppure ricevette subito una chiamata ad intimarlo di lasciarla lì.
Era Botero in persona, lo pregava di lasciala per fare in modo che l’accaduto non venisse dimenticato e ne scolpì un’altra identica per fiancheggiare quella esplosa. La metafora è tanto forte quanto vera: i Colombiani non dimenticano ma si alzano le maniche e ricostruiscono.
Questo messaggio è diventato ancor più chiaro camminando per le strade di “comuna 13” un quartiere, solo fino a pochi anni fa, considerato tra i più pericolosi al mondo ora diventato l’emblema del cambiamento della città.
Comuna 13 negli anni passati è stata la base operativa di diversi gruppi ribelli, “dell’esercito” di Escobar e di altre gang indipendenti. Si trova a ridosso del margine ovest della città, da cui passa una delle principali arterie stradali del paese, rendendolo strategicamente appetibile per ogni tipo di attività illecita, dai rapimenti al trasporto d’armi e droga.
Nel 2002 i militari lanciano la controversa “Operazione Orion” mandando più di 1000 soldati via terra e via aerea per ripulire il quartiere uccidendo 9 persone (di cui 3 bambini) e ferendone altre centinaia. Gli abitanti sotto assedio non potendo portare i propri figli in ospedale sfilano lenzuola e tappeti bianchi in segno di arresa.
La violenza non muore in quel momento ma va a scemare negli anni soprattutto grazie al contributo di artisti locali e rappers che hanno iniziato ed esprimere la loro voglia di pace con l’arte.
Ora quest’enorme “favela” colombiana ha scale mobili che la risalgono da cima a fondo ed è diventata uno dei punti più turistici della città essendo quasi completamente ricoperta di splendidi graffiti coloratissimi.
Si respira un equilibrio appena nato e ancora fragile ma sono fiduciosa che i Colombiani lo rispetteranno. Sono un popolo troppo fiero per auto sconfiggersi e credo abbiano genuinamente voglia che il loro paese finisca sulle bocche di tutti per la qualità dei suoi paesaggi e del suo caffè e non più per omicidi e cocaina.